giovedì 18 novembre 2010

Il Vino degli Amanti


Oggi un piccolo refuso dei miei pensieri è tornato a galla.
Un non so che mi ha stretto la gola con un cappio, in ricordo dei mesi passati.
Ho avuto per un attimo la sensazione che tutto fosse ricominciato, tutto come prima...tutto, inesorabilmente, come prima.
In quel refuso non c'era nulla di importante o di particolarmente prezioso, solo un dettaglio, uno stupido, insignificante, piccolo dettaglio, di quelli che nelle foto di insieme non si nota. Lo nota solo chi l'ha già vissuto, chi ha l'occhio allenato.

Se c'è una cosa che ho imparato ad amare tardi, quella è la poesia. La mia insegnante di italiano delle elementari mi prendeva in giro per la mia scarsa attitudine all'interpretazione delle poesie.
"Che vuol dire secondo te?" mi chiedeva. E io non sapevo mai che pesci pigliare. Eppure le parole non erano difficili, ero capace di inanellarle, di incastrarle una nell'altra mentre leggevo ad alta voce...eppure...non capivo perché fossero sistemate in quella forma, con quel ritmo, con quelle rime.
Ebbi un trauma fortissimo che si estinse molti anni dopo, grazie ad un signore di nome Pablo Neruda, l'uomo più innamorato del mondo.

Ma non mi dilungo.

Sulla mia banale borsa dei Beatles scrissi una poesia di una poetessa musulmana, A'isha Arna'ut. Brevissima, scritta in fretta con un UniPosca viola. In quel momento rendeva l'idea. Anzi, le idee. Le mie che non avevano più nome e giravano alla deriva in cerca di senso. Io, disintossicata da poco. Da droghe, lusinghe e promesse estinte.

La luce non ha forma
L'onda non ha confini
L' Io non ha facciate
La passione non ha orizzonti.

Sii luce
Onda
Passione.

Sii te stesso.

Nemmeno io ci avevo fatto caso, scrivendola. Arrivava dritta, come una freccia, lì, al cuore.
"Bella, quella poesia" mi disse "Mi piace molto. E' breve e diretta"
Io sorrisi. Non ci avevo davvero fatto caso, non fu un sorriso di circostanza.
E dato che la apprezzava così tanto, gliela scrissi su un foglio. Ci disegnai sopra uno dei miei schizzi contorti. Lui apprezzò. Non avevo un doppio fine, volevo solo portarlo a conoscenza di quello che ero in quel particolare momento, o meglio, di quello che volevo essere e che non ero ancora arrivata ad essere.

Quando decidemmo di stare insieme, tutto fu così facile...ripresi a scrivere con la passione di un tempo, ricominciai a leggere Neruda e riallacciai i miei complessi rapporti con Baudelaire e Verlaine.

Ma mi illusi che fosse facile, che mi bastasse solo aver ritrovato quello slancio surreale e stregato nello scrivere, nel trovare le parole giuste, i suoni, le immagini per dirmi veramente alla fine del mio cammino. Non era così. E me ne sono resa conto ripescando questo insignificante dettaglio dal pozzo abbandonato della mia mente.

Durante una lezione di russo particolarmente noiosa, un nebbioso sabato mattina, strappai dal mio taccuino a quadretti un foglio, presi dalla borsa I fiori del male e scrissi su quel foglio una poesia.
Il titolo mi attirava. Descriveva alla perfezione quella ebbrezza molesta dei primi tempi di una relazione, quella stessa che stavo vivendo. Si chiamava Il vino degli amanti.

Oggi lo spazio è splendido! Senza morsi né speroni o briglie,
via, sul vino, a cavallo verso un cielo divino e incantato!

Come due angeli che torturano un rovello implacabile oh,
nel cristallo azzurro del mattino, seguire il lontano meriggio!

Mollemente cullati sull'ala del turbine cerebrale,
in un delirio parallelo, sorella, nuotando affiancati,
fuggire senza riposi né tregue verso il paradiso dei miei sogni.

Senza riposi, nè tregue...
Sembrano passati secoli da quella volta in cui gli misi il foglio tra le mani e lui mi sorrise. Mi sembrò tutto più vivo, più vero e meno labile.
Ma durò poco...

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