mercoledì 15 aprile 2009

29 AGOSTO 2007 - HELLAS


In piedi, le mani appoggiate alla ringhiera smaltata di bianco, sul ponte del traghetto diretto ad Igoumenitsa, circondata dall'odore salato del mare, guardavo l'orizzonte. Pensavo fosse lui a guardare me, nel suo silenzio così buio e schivo, ma non capivo.
Le voci dei miei compagni si sentivano in lontananza, attutite. Potevo sbirciare i loro visi da un oblò incrostato di salsedine. Ridevano, scherzavano, fremavano dalla voglia di arrivare. Era notte fonda, e la luna sembrava piangere e spargere le sue lacrime argentee nella volta del cielo per formare le stelle. In quel momento mi ricordai di Selene. La personificazione di Diana, dea della caccia, quando saliva sul carro della luna e percorreva il cielo, sospinta dal vento, passando su città e villaggi addormentati senza far rumore.
Il vento si fece più forte e chiusi gli occhi per non lasciar entrare la salsedine. Faceva troppo freddo per restare fuori. Sentii sotto i miei piedi il borbottìo del ventre della nave, il contorcersi del motore che bolliva e rallentava la corsa, e vidi un sottile filo di fumo grigiastro levarsi nell'aria e sparire. Tornai in cabina e dormii un sonno strano, leggero, quasi nullo, tentando di non pensare al rollìo dell'oceano che si scatenava.

La sveglia suonò alle 5. Senza pensarci mi alzai e andai verso il portellone che dava sul ponte.
Tra i bagliori rossi e ancora neri dell'alba distinsi una sagoma nera, quasi una donna dormiente.
Quella donna era l'Ellade. Il viaggio era finito. Un giorno era cominciato.

29 AGOSTO, NOTTE/
GRECIA

Ora sì, si vede appena
confusa, in lacrime
nella nebbia
impalpabile
densa, sognante
figlia del fuoco,
dell’atmosfera,
dei segreti
e di amore,
amore sofferente...

E’una mano
che lambisce
all’infinito
pelle, seni,
occhi d’avorio
il mare
bruno di cenere
e pece bollente
nella luce
tagliente
di una lanterna
in alto...

Nella gola
di questa nave
nel legno dipinto
nel ferro
nei tubi
nel fumo
bolle, brucia
il boato
del motore
che infiamma
il mio respiro...

Mi avvicino
mi allontano
e sono sempre
ferma
e tutto
in me
fuori di me
esplode
e varia
nel buffo teatro
dell’assurdo
dietro il sipario
muto
della notte...

E Lei
distesa di terra
scabra e sconvolta
nera e immobile
riposa
nell’alvo della luna
e io, con una mano,
scavo il profilo
dei suoi fianchi
sotto un cielo
straniero
d’ambrosia
che, dolce,
chiama il suo nome:
Hellas, divina...

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